Il trasferimento per incompatibilità ambientale rientra tra le ragioni tecniche, organizzative e produttive

Con la recente sentenza n. 27345, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del delicato argomento del trasferimento del dipendente per c.d. incompatibilità ambientale.

A giudizio della Corte, in simili ipotesi, il trasferimento costituisce un provvedimento contrattuale, che il datore di lavoro può utilizzare per risolvere un’oggettiva disfunzione operativa e una situazione di tensione personale tra colleghi, determinata dalla presenza di uno di loro all’interno di un’unità operativa.

A giudizio della Corte lo strumento contrattuale non deve e non può costituire un provvedimento punitivo, che neppure potrebbe essere assunto in tal senso, quanto di una disposizione organizzativa, rientrante tra le ragioni tecniche, organizzative e produttive che consentono il trasferimento dei lavoratori ai sensi dell’art. 2103 codice civile.

Il trasferimento per c.d. incompatibilità prescinde dunque dalla violazione di doveri o da comportamenti disciplinarmente rilevanti da parte del lavoratore interessato e deve presupporre, secondo il Collegio, una valutazione obiettiva della disfunzione e della disorganizzazione che deriva dalla sua perdurante presenza all’interno dell’unità produttiva.

Certamente la materia è delicata e richiede valutazioni molto attente: è quanto mai evidente infatti che, seppur avente causa in una ragione di carattere oggettivo, il provvedimento potrà essere percepito come un torto o, in ogni caso, come la sanzione di taluni comportamenti del destinatario.

È innegabile tuttavia, come la stessa Cassazione conferma, che qualora esistano circostanze di matrice personale che impediscono il corretto andamento dell’attività lavorativa il datore di lavoro avrebbe diritto di esercitare i rimedi contrattuali utili a tutelare la produttività, ivi incluso il trasferimento.