La Corte di Cassazione ha finalmente risolto un problema interpretativo che si protraeva da oltre cinque anni.
Recenti sentenze di merito avevano ritenuto inammissibile la domanda proposta dal datore di lavoro con il rito previsto dalla Legge 92/2012 per ottenere la declaratoria di legittimità del proprio recesso dal rapporto di lavoro.
L’argomentazione principale di tale rifiuto è stata riportata a una lettura, formalistica, dell’art. 1 comma 48 della Legge 92/12, che sottopone al rito dei licenziamento solo le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa di licenziamento.
Stanti le preclusioni delle domande riconvenzionali nella c.d. fase sommaria, è stato argomentato inoltre che, in una simile ipotesi, il lavoratore avrebbe dovuto avviare una autonoma causa per ottenere la declaratoria di illegittimità del medesimo licenziamento.
La Corte di Cassazione, investita della vicenda, ha ora chiarito che il datore può invece agire secondo le norme che regolano il rito per l’impugnazione dei licenziamenti.
Il ragionamento della Suprema Corte, in estrema sintesi, considera anzitutto che la giurisprudenza di legittimità ha da sempre ritenuto ammissibili tali azioni, promosse dal datore di lavoro, e che il Rito Fornero sia di fatto sottratto alle opzioni delle parti e costituisca, invece, un rito obbligatorio allorquando si controverta di licenziamenti applicati in stabilità reale.
Così argomentato, la Suprema Corte ha dunque superato il dato letterale della norma e concluso che il Rito Fornero sia utilizzabile anche dal datore di lavoro. Del resto, una soluzione diversa aprirebbe concretamente le porte a una duplicazione dei giudizi promossi in merito allo stesso licenziamento, atteso che astrattamente il lavoratore potrebbe intraprendere un’azione di impugnazione con il rito speciale e, contemporaneamente, l’azienda con rito ordinario.
La Corte conclude che in simili ipotesi il lavoratore potrebbe dunque, già nella fase sommaria, contraddire l’azione del datore di lavoro e chiedere che la declaratoria di invalidità del recesso contrattuale e l’applicazione delle relative tutele.
La Sentenza, al di là della utilità, testimonia come il ruolo dell’avvocato giuslavorista sia sempre più delicato e richieda sempre maggior competenza, poiché è la struttura stessa delle norme che a volte non consente adeguata certezza su specifici aspetti e circostanze.