Con le recentissime sentenze nn. 148 e 395 dell’8 e del 13 gennaio 2020 la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’applicabilità al rapporto di lavoro dirigenziale del regime di impugnazione del licenziamento, previsto dall’art. 6 L. 604/1966, come modificato dall’art. 32, commi 1 e 2, della Legge (Collegato Lavoro).
È utile una premessa sul quadro normativo di riferimento, che pure è stato considerato dalla Corte nelle citate sentenze. L’art. 32 del Collegato lavoro ha riscritto il testo dell’art. 6 L. 604/1966, che sottoponeva l’impugnazione del licenziamento di operari ed impiegati ad un unico termine di impugnazione stragiudiziale di 60 giorni. La versione dell’art. 6 riformulata dal Collegato Lavoro prevede un sistema bifasico: una impugnazione stragiudiziale, da comunicare al datore entro 60 giorni dall’irrogazione del licenziamento, cui deve seguire, a pena di inefficacia dell’impugnazione medesima, il deposito in sede giudiziale del ricorso entro il successivo termine (ad oggi) di 180 giorni.
Il secondo comma dell’art. 32 del Collegato Lavoro ha previsto inoltre che le disposizioni del novellato art. 6 L. 604/1966 si applichino anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.
La Legge n. 92/2012 (Legge Fornero) da ultimo ha esteso, per la prima volta, alla categoria dei dirigenti le tutele previste dall’art. 18, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori per i casi di nullità del licenziamento ivi previsti.
L’estensione del regime previsto dall’art. 6 L. 604/1966 a tutti i casi di invalidità del licenziamento ha creato contrastanti interpretazioni con riferimento alla categoria dei dirigenti.
Il dubbio interpretativo è sorto proprio dalla formulazione utilizzata dall’art. 32, comma 2, del Collegato Lavoro – tutti i casi di invalidità del licenziamento – che ha fatto ritenere a taluni che il regime disegnato dall’art. 6 L. 604/1966 interessasse anche i dirigenti; ciò sebbene sia noto che l’art. 10 della stessa L. 604/1966 non indichi questa categoria tra quelle destinatarie delle norme limitative dei licenziamenti individuali.
Con le recentissime sentenze di inizio anno la Cassazione ha sciolto il dubbio interpretativo, ribadendo l’orientamento già espresso con la sentenza n. 22627/2015.
Il Collegio ha concluso che l’impugnazione dei licenziamenti dei dirigenti sia sottoposta a un diversificato regime di impugnazione (e di decadenza).
Secondo la Corte è necessario isolare le ipotesi in cui il dirigente contesti l’invalidità del licenziamento al fine di demolire l’atto risolutivo (e i suoi effetti) e invocare, dunque, le tutele previste dall’art. 18 comma 1 dello Statuto dei Lavoratori, in primis la reintegrazione.
Secondo il Collegio il concetto di invalidità richiamato dall’art. 32 comma 2 del Collegato Lavoro deve essere interpretato in senso restrittivo e riferito, dunque, a tutti i casi in cui il lavoratore contesti l’inidoneità del licenziamento a spiegare gli effetti che l’ordinamento gli riconosce a causa della sua contrarietà a norme imperative di Legge (o per il carattere discriminatorio o ritorsivo, ad esempio).
In simili ipotesi, a giudizio del Collegio, l’impugnazione rientra, anche nel caso dei dirigenti, all’interno della locuzione utilizzata dall’art. 32, secondo comma, del Collegato Lavoro ed è quindi sottoposta al regime ordinario di impugnazione (e decadenza) previsto dall’art. 6 L. 604/1966. Il dirigente è onerato pertanto dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento nel termine di 60 giorni dalla sua comunicazione e alla successiva impugnazione giudiziale nel successivo termine di 180 giorni.
La Corte è giunta invece a una diversa conclusione con riferimento alle ipotesi in cui il dirigente non contesti l’invalidità del licenziamento, concentrando invece la sua impugnazione sulla mancanza di giustificatezza dell’atto risolutivo chiedendo il risarcimento del danno nella forma della indennità supplementare, prevista dal CCNL applicabile.
Il Collegio ritiene infatti che, in nessun caso, il licenziamento privo di giustificatezza possa essere qualificato come invalido nel senso anzidetto.
L’assenza della giustificatezza costituisce per il Collegio un illecito convenzionale risalente dalla violazione delle norme del Contratto Collettivo e pure sanzionato secondo modalità che lo stesso Contratto stabilisce.
Non sussistendo dunque una contestazione di invalidità nel senso opinato dalla Corte, l’impugnazione del licenziamento non sarebbe soggetta al regime di impugnazione del licenziamento, regolata dall’art. 6 L. 604/1966 come modificato dall’art. 32 L. 183/2010.
Il regime di decadenza, infatti, deve essere considerato di stretta interpretazione e dunque non suscettibile di applicazioni estensive.